top of page
Post: Blog2 Post
  • Immagine del redattoreLa Redazione

A una parola dalla morte

Se io sto scrivendo questo articolo è grazie alla nostra Costituzione, più precisamente grazie all'articolo 21 che mi tutela e mi permette di esprimere la mia opinione liberamente sempre, però, nei limiti del rispetto altrui. Il diritto di parola e di espressione sono così scontati oggi nel nostro paese che non ci accorgiamo neanche di quanto sia importante. Come sarebbe il nostro mondo se non ci potessimo esprimere? Se tutti dicessero le stesse cose? Se tutti ci vestissimo in modo uguale? Se nessuno andasse contro corrente? Beh, niente più studiosi come Galileo Galilei che ci dicono che la terra è tonda, niente avanzamenti scientifici, niente più minoranze che lottano per i loro diritti, niente avanzamento sociale, niente più mode, challenge, niente più haters, niente più fan, niente più icone sui social, niente diversità; solo un mondo fermo, grigio e silenzioso in cui solo alcune voci scelte possono parlare mentre gli altri, ridotti a macchine, possono solo dire “sì”.

Noi come giornale della scuola (LA.B) lo sperimentiamo in prima persona tutti i giorni. Quando scriviamo un articolo ognuno di noi può scrivere esprimendo la propria opinione arricchendo così la piccola “comunità” del liceo Laurana Baldi. Avendo studiato numerosi grandi della filosofia la cui “arma” più potente era il discorso, “il discorso invincibile”, e dopo aver approfondito l’argomento possiamo dare un commento personale e far capire se siamo pro o contro una determinata cosa senza avere ripercussioni e senza rischiare nulla.

Questa scuola ha avuto più volte a che fare con la scrittura e i testi argomentativi e grazie a questo mi rendo conto, come spero voi, che le parole soprattutto se scritte e impresse per sempre sulla carta hanno un enorme potere. Questo vale anche a livello globale, spesso i governi dittatoriali prendono di mira chi decide di esprimere la sua opinione e decide di giudicare proprio questi ultimi prima attraverso la censura e poi se persistenti anche con la morte.

Anche la storia italiana si è macchiata di questi crimini. Verso la fine del 1922, quando il Fascismo era ormai affermato, nessuno aveva più libertà di espressione; l’ultimo a parlarne fu Giacomo Matteotti, ucciso e fatto sparire in un bosco il 10 giugno del 1924. I giornalisti che, come Matteotti hanno subito censure o peggio nella storia, sono parecchi e soprattutto non c’è bisogno di andare indietro di 100 anni: ci sono vari esempi molto più recenti. Ne è un esempio Uma Singh che nel 2009 si stava battendo per i diritti umani in Nepal, governato recentemente dai Maoisti dopo un lungo periodo di guerre civili, ma ancora segnato da rivalità tra gruppi e bande all’interno delle regioni. Uma lavorava per una radio locale, scriveva per un giornale ed era nota per il suo impegno nei confronti dei più deboli: le donne e le famiglie più povere. Il suo ultimo articolo denunciava proprio la situazione di molte famiglie a Kathmandu che erano rimaste senza casa e vivendo in condizioni disumane. Uma puntava l’attenzione sulle false promesse del governo che avrebbe dovuto restituire quanto prima le loro abitazioni. Uma si era concentrata sul destino di 80 famiglie della sua provincia e sulla figura del ministro maoista al quale era affidato il teorico compito delle restituzioni. Il 12 gennaio 2009, all’età di 25 anni, Uma è stata pugnalata nella sua casa davanti ai familiari da sconosciuti. Uma era nota per i suoi articoli e commenti scomodi. Per molti è ancora un mistero la sua morte. Per altri no. Uma non è stata né la prima né l’ultima di una serie di ingiustizie. L’anno prima, nel 2008, secondo il Reporters sans frontieres i giornalisti che sono stati uccisi sono 62, numero calante rispetto al 2007 quando i giornalisti uccisi erano stati 107, ma rimane sempre un numero spaventoso.

Oggi sono stati fatti passi in avanti, infatti in zone di guerra come l’Afghanistan e l’Iraq spesso i giornalisti sono affiancati alle milizie (i cosiddetti giornalisti embedded) ed è raro che si avventurino da soli se non vogliono rischiare di essere uccisi. Ma non esistono solo guerre da raccontare, anche zone calde dove non ci si può appoggiare a nessuno e il giornalista deve cavarsela per forza da solo. In questi casi la sua unica protezione è data dal trattato di Ginevra del 1949 che tutela i giornalisti considerandoli alla stregua dei civili. Un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione del 1977 accorda poi ai giornalisti una protezione speciale nonché una carta d’identità speciale, rilasciata dal loro Stato, che riconosce la loro qualifica di giornalisti. Ma ovviamente davanti a soldati, sicari o bombe, la carta vale poco o niente. In conclusione si sono fatti passi in avanti rispetto a qualche anno fa, ma la strada è ancora lunga e soprattutto noi, possibili futuri politici e perché no futuri giornalisti, dovremmo prestare più attenzione a questo argomento perché la libertà di parola e di opinione non dovrebbe essere un lusso o un privilegio solo di alcuni stati. Tutti hanno il diritto e il dovere di parlare e denunciare ciò che accade nel loro paese senza il rischio di venir censurati o peggio uccisi per le loro opinioni, perché è vero…le parole sono più taglienti delle armi.


Matilde Fulvi



17 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page